Videogiochi, dipendenza non deve essere una malattia riconosciuta

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Ne avevamo parlato anche noi qualche settimana fa: la dipendenza da videogiochi sarà inserita nell’International Classification of Disease, la lista ufficiale delle malattie “riconosciute” dall’Organizzazione mondiale della salute (Oms).

In molti Paesi la dipendenza da videogiochi è già considerata una patologia ed è oggetto di terapie. L’inserimento nella lista ufficiale delle malattie riconosciute dall’Oms è comunque un passo fondamentale per diversi motivi: ad esempio sul fronte della raccolta dei dati, della elaborazioni di statistiche e trend, dell’individuazione di metodi uniformi per la diagnosi e la cura. Non solo: incoraggerà tutti gli Stati a elaborare linee guida nazionali e a stanziare apposite risorse non solo per la cura ma anche per la prevenzione.

Secondo la definizione (non ancora definitiva) del manuale dell’Oms, perché possa configurarsi una diagnosi di disturbo da gioco, si devono presentare determinate condizioni che renderebbero il ricorso persistente o ricorrente ai videogame un problema per la salute. I

Il malato di videogame, in pratica, perde il contatto con la realtà attorno, assorbito completamente dalle tempistiche e dagli obiettivi del gioco: non ha più controllo sull’attività di gioco, che diventa una priorità assoluta (persino più importante di mangiare e dormire), anche se fonte di conseguenze negative in ogni ambito della sua vita, dai rapporti sociali e familiari al lavoro.

Videogiochi, dipendenza non deve essere una malattia riconosciuta

Videogiochi dipendenza non una malattia riconosciuta

Vladimir Poznyak, membro del Dipartimento di salute mentale e abuso di sostanze dell’Oms, aveva parlato dell’importanza di riconoscere il disturbo da gioco come una questione di salute mentale: “Gli operatori sanitari devono riconoscere che la dipendenza da videogiochi può avere conseguenze molto serie per la salute. La maggior parte dei gamers non ha questo problema, come la maggior parte delle persone che consumano alcol non lo fa in modo patologico. Tuttavia in alcune circostanze l’abuso può portare a effetti avversi”.

Eppure non tutti sono d’accordo: nello specifico, una squadra di 36 esperti di salute mentale, docenti e scienziati da tutto il mondo, dall’alto della loro esperienza universitaria, si stanno preparando ad opporsi con un articolo ufficiale.

In “A weak scientific basis for gaming disorder: Let us err on the side of caution” (“Deboli basi scientifiche per la Dipendenza da videogiochi: schieriamoci dalla parte della cautela”) verranno riportate le ragioni per cui “il disturbo” non può essere classificato come malattia, tra cui spicca la teoria secondo cui c’è ancora molta confusione, anche fra gli autori che sostengono la diagnosi, in merito a cosa sia, esattamente, la dipendenza da videogiochi, e che le prove a sostegno siano di bassa qualità.

Inoltre, la definizione di disordine da dipendenza da videogiochi manca del necessario supporto scientifico e di una evidente utilità clinica, appare quindi prematuro l’inserimento tra i disturbi mentali. Rispetto a quest’ultimo punto, gli autori sottolineano come non sia stato dimostrato in alcun modo se il “gaming disorder” sia realmente un disturbo a sé stante o sia semplicemente il sintomo legato ad altre cause primarie, una strategia per affrontare altri problemi, un comportamento di ‘coping’, il che porta a dire che forse avrebbe più senso capire cosa sta “coprendo” l’eccessivo utilizzo dei videogiochi, cosa c’è sotto.

Interessante infine una proposta fatta dagli esperti in conclusione del loro articolo: nella discussione per l’eventuale formalizzazione della dipendenza da videogiochi come disordine andrebbero incluse molte altre voci, che non sono solo quelle del mondo accademico.

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