Alzheimer, attenzione alla sonnolenza diurna

VEB

Tra le forme di demenza senile, l’Alzheimer è certamente tra le più conosciute, diffuse e, a ragione, temute.

Una diagnosi del morbo di Alzheimer cambia infatti la vita delle persone colpite da questa malattia e anche delle loro famiglie e amici.

Ad oggi, 24,2 milioni di persone sono colpite da demenza e ogni anno si contano 4,6 milioni di nuovi casi: il 70% di questi è attribuibile ad Alzheimer. L’incidenza aumenta con l’età e – a causa dell’invecchiamento della popolazione nei Paesi più sviluppati e dell’aumento dell’aspettativa di vita in quelli emergenti – il morbo di Alzheimer sta diventando un problema crescente in tutto il mondo.

La malattia prende il nome da Alois Alzheimer, neurologo tedesco che per la prima volta nel 1907 ne descrisse i sintomi e gli aspetti neuropatologici.

All’esame autoptico, il medico notò segni particolari nel tessuto cerebrale di una donna che era morta in seguito a una insolita malattia mentale. Infatti, evidenziò la presenza di agglomerati, poi definiti placche amiloidi, e di fasci di fibre aggrovigliate, i viluppi neuro-fibrillari. Oggi le placche formate da proteine amiloidi e i viluppi, vengono considerati gli effetti sui tessuti nervosi di una malattia di cui, nonostante i grossi sforzi messi in campo, ancora non si conoscono le cause.

Alzheimer, attenzione alla sonnolenza diurna

Alzheimer, attenzione alla sonnolenza diurna

Il morbo di Alzheimer provoca problemi di memoria, di pensiero e di comportamento. Nella fase iniziale, i sintomi di demenza possono essere minimi, tuttavia, quando la malattia provoca maggiori danni al cervello, i sintomi peggiorano. La velocità con cui la malattia progredisce è diversa per ciascuno, tuttavia, in media, le persone che soffrono del morbo di Alzheimer vivono otto anni dopo che i sintomi si sono manifestati.

Anche se, attualmente, non esistono trattamenti per fermare la progressione del morbo di Alzheimer, vi sono farmaci che possono curare i sintomi della demenza.

In più, i ricercatori continuano a ricercare i trattamenti più efficaci e una cura, nonché i modi di prevenire il morbo di Alzheimer e migliorare la salute del cervello.

L’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica (INRIM), attraverso il progetto europeo NeuroMET, che riunisce istituti di metrologia, università e centri ospedalieri, ad esempio vuole arrivare a una diagnosi precoce e al monitoraggio costante del decorso dell’Alzheimer attraverso un semplice prelievo di sangue.

Per sapere se un paziente è affetto da Alzheimer oggi si praticano test cognitivi e comportamentali. Un ulteriore strumento diagnostico è rappresentato dalla ricerca di biomarcatori nel liquido cerebrospinale, esame che richiede un prelievo dal midollo spinale, cioè un esame invasivo. Uno degli obiettivi di NeuroMET è dimostrare come gli stessi biomarcatori siano presenti, in quantità più ridotte, anche nel sangue.

L’Istituto di metrologia italiano sta quindi lavorando su una sofisticata tecnica di analisi, detta Digital Polimerase Chain Reaction (dPCR), che permette di rilevare nel sangue quantità anche molto ridotte di alcuni dei biomarcatori dell’Alzheimer, i microRNA.

Un altro studio, invece, pubblicato nelle scorse ore ha evidenziato una correlazione tra la sindrome di Alzheimer e la sonnolenza diurna negli anziani.

Secondo JAMA Neurology, in coordinazione con Prashanthi Vemuri, e la Mayo Clinic di Rochester, in Minnesota, le persone di una certa età che sono tendenti ad un eccessivo sonnellino pomeridiano, sarebbero maggiormente soggette ad ammalarsi appunto di Alzheimer.

Lo studio è stato effettuato su 283 persone non affette da demenza sentile, che si sono sottoposti a degli esami per valutare appunto la loro sonnolenza, nonché a due PET (un esame approfondito per rilevare la distribuzione di alcune sostanze come il glucosio), fra il 2009 e il 2016.

Di questo campione, più di un quinto, il 22.3%, soffriva di un’eccessiva sonnolenza diurna, associata quindi ad un aumento dell’accumulo di beta-amiloide nel cingolo anteriore, posteriore e nelle regioni parietali.

Secondo uno degli autori della ricerca, tale studio potrebbe permettere passi in avanti per curare questa malattia: «L’identificazione precoce – ha aggiunto Vemuri – dei pazienti con eccessiva sonnolenza diurna e il trattamento dei disturbi del sonno sottostanti potrebbero ridurre l’accumulo di beta-amiloide in questo gruppo vulnerabile di persone».

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