Ipertensione, quando intervenire con il trattamento farmacologico

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L’ipertensione è una tra le malattie più diffuse nei Paesi industrializzati; colpisce, infatti, circa il 20% della popolazione adulta e rappresenta uno dei maggiori problemi clinici dei tempi moderni.

L’ipertensione o ipertensione arteriosa è una condizione clinica in cui la pressione del sangue nelle arterie della circolazione sistemica risulta elevata. Ciò comporta un aumento di lavoro per il cuore.

La pressione arteriosa è riassunta da due misure, sistolica e diastolica, che dipendono dal fatto che il muscolo cardiaco si contrae (sistole) e si rilassa (diastole) tra un battito e l’altro. È quindi uno stato, costante e non occasionale, in cui la pressione arteriosa a riposo risulta più alta rispetto agli standard fisiologici considerati normali.

L’ipertensione viene classificata come primaria (essenziale) o come secondaria. Circa il 90-95% dei casi sono classificati come “ipertensione primaria”, il che significa che vi è pressione alta senza evidenti cause mediche di base. Il restante 5-10% dei casi, classificati come “ipertensione secondaria” sono causati da altre malattie che colpiscono i reni, le arterie, il cuore o il sistema endocrino.

Ma non è certo semplice e scontato stabilire fino a che punto i valori di pressione possono essere considerati normali e quando, invece, si deve cominciare a parlare di ipertensione. Su questo punto le regole sono cambiate nel corso degli anni. Le ultime le hanno appena dettate l’American College of Cardiology e l’American Heart Association e stanno facendo molto discutere.

In primis bisogna chiarire che i valori sono differenti tra le linee guida americane e quelle europee.

Secondo gli americani è da considerare pressione «normale» quella sotto i 120 millimetri di mercurio (mmHg) di massima (pressione sistolica, quando il cuore si contrae) e sotto gli 80 di minima (pressione diastolica, quando il cuore si rilascia). Gli europei, invece, ritengono «ottimale» una pressione al di sotto dei 120 e degli 80, ma ritengono ancora «normali» valori fino a 130-84 e «normali alti» fino a 139-89.

Ipertensione quando intervenire con il trattamento farmacologico

In genere, se la massima è compresa fra 130 e 139 e la minima fra 80 e 89, si tratta di ipertensione di stadio 1, da trattare con farmaci. Oltre i 140 di massima e oltre gli 80 di minima si passa allo stadio 2 dell’ipertensione, che richiede un trattamento farmacologico.

«Al momento noi interveniamo con la terapia farmacologica più tardi, a partire da una massima pari o superiore a 140 mmHg e a una minima pari o superiore a 90 mmHg – commenta Giuseppe Mancia, professore emerito dell’Università di Milano Bicocca e chairman del gruppo di studio dell’Esh che sta mettendo a punto le nuove linee guida europee -. Di fronte a valori normali alti cerchiamo di agire sullo stile di vita».

Secondo le linee guida americane, invece, il numero di persone trattate farmacologicamente dovrebbe essere superiore, e oltre i 140 di massima la terapia dovrebbe riguardare tutti, anche gli anziani.

«Attualmente, nei pazienti anziani – continua Mancia – cominciamo il trattamento quando la pressione è a 160 mm Hg e oltre e cerchiamo di arrivare sotto i 150 di massima. Occorre fare molta attenzione a diminuire la pressione nell’anziano, perché il rischio (soprattutto quando la minima va sotto i 70) è quello di ridurre troppo l’afflusso del sangue in organi come il cervello, il cuore o il rene».

Ecco allora due regole importanti da ricordare di fronte a un paziente iperteso. «La prima è quella di individualizzare il trattamento, caso per caso, facendosi guidare dalla clinica – commenta Enrico Agabiti Rosei, Past Presidente dell’Esh -. La seconda suggerisce di cominciare la terapia il più presto possibile, prima che si sia instaurato un danno d’organo come un’ipertrofia cardiaca o alterazioni vascolari e renali. Questi danni, poi, non regrediscono con la terapia e costituiscono il cosiddetto rischio residuo».

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