Siamo immersi in una realtà dove gli algoritmi non sono solo strumenti, ma vere e proprie estensioni del nostro pensiero. Dal suggerimento di un ristorante al navigatore che decide la strada più veloce, queste sequenze di istruzioni plasmano le nostre scelte quotidiane. Non si tratta di una semplice assistenza: il nostro stesso modo di percepire il mondo e prendere decisioni subisce una trasformazione profonda, portandoci a una condizione di “mente estesa”, come suggerito dalla neuroscienziata Martina Ardizzi nel suo libro L’algoritmo bipede (Egea, 2025).

Il Confine Sottile tra Previsione Umana e Artificiale
La differenza cruciale tra l’intelligenza umana e quella artificiale sta nella comprensione. Un algoritmo, anche se sembra “pensare”, in realtà non comprende nel senso umano del termine. Come osserva Ilya Sutskever, ricercatore capo di OpenAI, i software di scrittura automatica funzionano alla perfezione non perché capiscono, ma perché sono straordinariamente abili a prevedere la sequenza di parole più probabile. La loro intelligenza è sociale e computazionale, non psichica.
Questa capacità di previsione massiccia si basa sull’analisi di enormi quantità di dati sulle nostre abitudini e preferenze. Un assistente virtuale che ci propone un prodotto non fa una scelta casuale, ma elabora la nostra “memoria digitale” persistente. Questo solleva interrogativi importanti: quanto controllo abbiamo su questa traccia digitale? Chi risponde se un sistema di Intelligenza Artificiale commette un errore, ad esempio una diagnosi medica errata o un consiglio finanziario disastroso? La responsabilità si sposta su sviluppatori, aziende o professionisti che si fidano del suggerimento algoritmico.
- Illusioni della Mente: 7 Fenomeni Psicologici che Svelano i “Poteri Magici” del Tuo Cervello
- AI: la trappola psicologica della lusinga
- Le Migliori Alternative Gratuite a ChatGPT nel 2025
I Pericoli Silenziosi: Quando l’Algoritmo Amplifica i Pregiudizi
Una delle sfide più delicate di questa interazione è il fenomeno dei bias algoritmici. Noi umani usiamo i bias cognitivi, che sono scorciatoie mentali per decidere in fretta. Se però questi pregiudizi finiscono nei dataset con cui si addestrano le macchine, l’algoritmo non fa altro che replicarli e, in molti casi, amplificarli in modo sistematico.
Per esempio, se i dati storici di recruiting mostrano una netta prevalenza maschile in certi ruoli, un sistema di AI addestrato su quei dati tenderà a penalizzare le candidature femminili. Un caso emblematico è stato quello dell’algoritmo Compas per la previsione del rischio di recidiva negli Stati Uniti, che mostrava pregiudizi nei confronti degli afroamericani a causa di un dataset sbilanciato. Questa amplificazione dei pregiudizi non solo crea discriminazioni (legate a genere, etnia, età o condizione socioeconomica, come nell’accesso al credito o in ambito sanitario), ma uno studio recente ha anche evidenziato che l’interazione prolungata con un’AI con bias porta a un aumento dei nostri stessi pregiudizi umani. La soluzione non è la neutralità totale, che è utopica, ma un monitoraggio costante e dataset rappresentativi e bilanciati, per rendere la tecnologia uno strumento responsabile.
IA e Salute Mentale: Supporto o Sostituzione?
L’Intelligenza Artificiale sta entrando anche nel campo della salute mentale. Chatbot e piattaforme digitali offrono supporto accessibile tra una seduta e l’altra, o per monitorare continuamente il paziente, secondo i principi dell’Ecological Momentary Assessment (EMA). In questo contesto, l’AI è un valido alleato che integra, non sostituisce, la figura del terapeuta.
Tuttavia, anche qui sorgono problemi etici, soprattutto riguardo alla riservatezza dei dati e all’antropomorfizzazione, cioè la tendenza ad attribuire caratteristiche umane alle macchine (pensiamo a un assistente vocale che ha una “personalità”). La relazione terapeutica è basata su emozioni e una profonda comprensione umana che le macchine non possono replicare. Sarà sempre la coscienza dell’uomo a dover stabilire i riferimenti etici nelle decisioni prese dalle macchine, riportando l’essere umano al centro di ogni innovazione.
FAQ: Misteri tra Mente e Algoritmo
Gli algoritmi capiscono come gli esseri umani? No, gli algoritmi di apprendimento automatico, come i grandi modelli linguistici (LLM), non hanno una comprensione semantica o emotiva come noi. Essi eccellono nel prevedere sequenze numeriche e testuali in base alle regole matematiche con cui sono stati addestrati su enormi dataset, come afferma il capo ricercatore di OpenAI.
Cosa sono i bias algoritmici? I bias algoritmici sono distorsioni sistematiche nei risultati di un algoritmo, causate da pregiudizi umani già presenti nei dati di addestramento. Ad esempio, se i dati di training per un sistema di assunzione riflettono le disuguaglianze sociali passate, l’algoritmo potrebbe inconsapevolmente discriminare alcuni gruppi (etnia o genere) in futuro.
In che modo l’AI influisce sulla nostra capacità decisionale? L’AI ci offre scorciatoie cognitive e suggerimenti che spesso accettiamo in automatico, influenzando le nostre scelte (dal consumo agli investimenti). Questo può atrofizzare il nostro pensiero critico se non sviluppiamo un approccio consapevole. È fondamentale usare l’AI come spunto e chiedere di esplicitare le fonti o di esporre “pro e contro” per bilanciare i giudizi.
Qual è il rischio psicologico maggiore dell’interazione con l’AI? Un rischio significativo è l’amplificazione dei nostri bias cognitivi. L’interazione prolungata con sistemi che riflettono pregiudizi può rafforzare i nostri, creando un circolo vizioso. Inoltre, l’eccessiva dipendenza dalla tecnologia per compiti routinari potrebbe generare insicurezza occupazionale e una potenziale perdita di competenze umane insostituibili.
Curiosa per natura e appassionata di tutto ciò che è nuovo, Angela Gemito naviga tra le ultime notizie, le tendenze tecnologiche e le curiosità più affascinanti per offrirtele su questo sito. Preparati a scoprire il mondo con occhi nuovi, un articolo alla volta!