Negli Stati Uniti, l’applicazione della pena di morte continua a sollevare interrogativi etici e legali, soprattutto alla luce dei numerosi casi in cui le esecuzioni sono fallite in modo tragico. Errori tecnici, addestramento inadeguato e metodi sperimentali hanno spesso trasformato quello che dovrebbe essere un processo “rapido e indolore” in un incubo prolungato, sia per il condannato che per il personale coinvolto.

Il caso Mikal Mahdi: quattro minuti di agonia
L’ultimo episodio che ha riacceso il dibattito è avvenuto in Carolina del Sud, dove il condannato Mikal Mahdi è morto in quattro interminabili minuti dopo che i colpi del plotone d’esecuzione hanno mancato il cuore. Secondo quanto riportato dal Mirror US, Mahdi è stato colpito da tre proiettili, ma nessuno ha centrato l’organo vitale, causando invece danni a pancreas, fegato e polmoni. Il dottor Jonathan Arden, esperto forense, ha confermato che le ferite non hanno provocato una morte immediata, ma una sofferenza prolungata.
Il Death Penalty Information Center (DPIC) ha già segnalato in un rapporto del 2022 che circa un terzo delle esecuzioni effettuate quell’anno sono state caratterizzate da complicazioni gravi. Un dato allarmante che mette in discussione l’efficienza e l’umanità dei metodi adottati.
Ron McAndrew: 13 anni di terapia dopo un’esecuzione fallita
Un caso emblematico è quello di Ron McAndrew, ex direttore del braccio della morte in Florida. McAndrew ha assistito all’esecuzione di Pedro Medina, condannato alla sedia elettrica. L’uomo è stato letteralmente arso vivo a causa di un malfunzionamento. “Non abbiamo fulminato quest’uomo. Lo abbiamo bruciato vivo“, ha dichiarato McAndrew in un’intervista al The Sun. Le immagini e gli odori di quel giorno lo hanno perseguitato per oltre un decennio, costringendolo a seguire 13 anni di terapia.
Gas azoto: una sperimentazione fallita?
Nel gennaio 2024, lo Stato dell’Alabama ha messo in atto per la prima volta un’esecuzione tramite inalazione di gas azoto, uccidendo Kenneth Eugene Smith. Sebbene le autorità statali l’abbiano definita “forse il metodo più umano mai ideato”, testimoni oculari hanno raccontato un’altra verità. Come riportato dal Guardian, Smith avrebbe tremato violentemente, si sarebbe contorto sulla barella e avrebbe mostrato segni di sofferenza estrema per 22 minuti. La Casa Bianca ha definito l’episodio “molto preoccupante”.
Iniezioni letali: tra fallimenti tecnici e torture silenziose
L’iniezione letale, considerata per anni il metodo standard, non è esente da problemi. Il caso di Thomas Creech, il detenuto più anziano del braccio della morte dell’Idaho, è esemplare: l’esecuzione è stata interrotta dopo che il personale non è riuscito a trovare una vena per somministrare il farmaco. Secondo NBC News, Creech continua a proclamare la propria innocenza e il caso ha attirato persino l’attenzione di attivisti celebri come Kim Kardashian.
Ancora più scioccante il caso di Joe Nathan James Jr., giustiziato in Alabama nel 2022. L’esecuzione, che avrebbe dovuto durare pochi minuti, si è prolungata per oltre tre ore. Secondo un’inchiesta del New York Times, i medici avrebbero avuto enormi difficoltà a inserire gli aghi, provocando lesioni multiple a mani e polsi.
Un sistema da riformare?
I casi citati mettono in luce una realtà scomoda: l’attuale sistema di esecuzioni negli Stati Uniti presenta gravi falle procedurali e morali. Organizzazioni come Amnesty International e Human Rights Watch continuano a denunciare l’uso della pena capitale, definendola crudele, antiquata e inefficace come deterrente. Anche la Commissione Interamericana per i Diritti Umani ha espresso preoccupazione per le violazioni dei diritti fondamentali nei casi di esecuzioni mal riuscite.
Con un crescente numero di stati americani che aboliscono la pena di morte o ne sospendono l’applicazione, il dibattito è destinato a intensificarsi. Ma una domanda rimane centrale: può esistere una “buona” esecuzione, in un sistema dove l’errore umano è inevitabile?