Il recente annuncio dell’ex presidente Donald Trump riguardo a una nuova ondata di dazi doganali ha scatenato un acceso dibattito online e riacceso il confronto con momenti critici della storia economica americana. L’ex leader statunitense, oggi 78enne, ha dichiarato che a partire dal 9 aprile entreranno in vigore tariffe fino al 50% su merci provenienti da 60 Paesi, inclusi Lesotho, Laos e Vietnam. Brasile e Regno Unito saranno invece soggetti a un’imposta del 10% dal 5 aprile, mentre le importazioni dall’Unione Europea verranno colpite da dazi pari al 20%.

“Giorno della Liberazione”: retorica e protezionismo
Durante l’evento denominato “Giorno della Liberazione”, Trump ha adottato toni duri, accusando partner storici e rivali geopolitici di aver approfittato per decenni degli Stati Uniti. “Il nostro Paese è stato saccheggiato, violentato e depredato”, ha tuonato, giustificando le nuove misure come una risposta necessaria per proteggere l’economia interna.
Ritorno al passato: 1828 e 1930, quando i dazi cambiarono il corso della storia
Non è la prima volta che l’America adotta una strategia protezionistica così drastica. Sui social, molti hanno ricordato due momenti chiave: la Tariffa delle Abominazioni del 1828 e lo Smoot-Hawley Act del 1930.
Nel primo caso, l’aumento delle tasse sui beni importati mirava a proteggere l’industria del Nord, ma finì per penalizzare gravemente il Sud agricolo, innescando una crisi costituzionale nota come “crisi di annullamento”. Solo nel 1833, con un accordo bipartisan, si riuscì a disinnescare le tensioni.
Più disastrose furono le conseguenze del provvedimento firmato da Herbert Hoover nel 1930: l’inasprimento delle tariffe contribuì a una spirale di ritorsioni commerciali che aggravò la già difficile situazione della Grande Depressione. Secondo l’economista Kris James Mitchener, fu “l’inizio della madre di tutte le guerre commerciali”.
Riflessioni moderne tra memoria storica e nuove sfide
La storia sembra ripetersi, anche se il contesto odierno presenta dinamiche inedite. Oltre a una globalizzazione molto più spinta e catene di approvvigionamento interdipendenti, gli Stati Uniti devono ora fare i conti con un debito pubblico che ha superato i 38 trilioni di dollari. Questo dato, secondo alcuni analisti, potrebbe giustificare misure drastiche come quelle proposte da Trump.
“Ci sarà del dolore, ma è necessario un aggiustamento. Almeno stavolta c’è un piano”, ha commentato un esperto su un forum economico. Non tutti però sono d’accordo.
Social media in fermento: ironia, timori e scetticismo
La reazione online non si è fatta attendere. Tra battute e preoccupazioni, molti utenti hanno criticato l’impatto che le nuove tariffe potrebbero avere su consumatori e piccole imprese. “Se vogliono fare cassa, che aumentino le imposte sul reddito, non i prezzi nei supermercati”, ha scritto un utente su Reddit. Altri hanno sottolineato la ciclicità delle misure protezionistiche: “Accadono ogni 100 anni, giusto il tempo per dimenticarne gli effetti”.
E c’è anche chi, pur mantenendo un approccio pragmatico, resta cauto: “Non sono a favore dei dazi, ma continuerò a investire in aziende solide. Lascio la speculazione agli altri”.
Dazi: tra strategia e rischio
Il dibattito rimane aperto. Le misure protezionistiche saranno una cura necessaria per un sistema economico squilibrato o rischiano di innescare una nuova crisi commerciale globale? La risposta, come spesso accade, si scoprirà solo col tempo.
Intanto, sui social, domina un mix di rassegnazione e sarcasmo. Una cosa è certa: i dazi di Trump, al di là dei risultati, hanno già lasciato il segno. Sia nei libri di storia, sia nei feed di Twitter.