Anche se la copertura mediatica negli ultimi anni è molto calata, il virus dell’Hiv non è certo stato debellato e con lui neppure la conseguente sindrome dell’Aids: ancora milioni di persone, nel mondo, sono sieropositive e con troppa leggerezza continuano a diffonderlo.
Il virus da immunodeficienza umana, conosciuto appunto come HIV, causa l’AIDS infettando e danneggiando parte delle difese del corpo contro le aggressioni esterne, i linfociti, in particolare, che sono un particolare tipo di globuli bianchi che nel sistema immunitario hanno il compito di scacciare i batteri e virus invasori.
AIDS (Acquired Immune Deficiency Syndrome) sta quindi per sindrome da immunodeficienza acquisita, una malattia che rende difficile al corpo contrastare le altre malattie infettive.
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Sebbene esistano delle cure per l’HIV e l’AIDS, non esistono vaccini o medicine risolutive; esistono dei comportamenti che, se assunti, permettono di prevenire il contagio.
Contagio che però non si arresta soprattutto in alcune categorie: nonostante la riduzione delle nuove infezioni nei Paesi occidentali, gli omosessuali avrebbero ancora una probabilità 28 volte più elevata di contrarre l’HIV rispetto agli eterosessuali.
L’allarme è stato lanciato dal rapporto Miles to Go dell’UNAIDS, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di AIDS.
Secondo l’ultimo aggiornamento, il numero complessivo annuale di nuove infezioni da HIV è sceso dal massimo raggiunto nel 1996, paria a 3,4 milioni, a 1,8 milioni, registrate lo scorso anno.
Eppure gli omosessuali continuano a essere più a rischio di contrarre l’HIV insieme a prostitute, tossicodipendenti e transgender.
In Nord America, Europa occidentale e Australia, il lancio della profilassi pre-esposizione per via orale ha visto i tassi di trasmissione calare drasticamente tra i gay. Per effetto della terapia, per esempio, a San Francisco le nuove infezioni sono calate del 43% in tre anni.
Ma non in tutti i paesi i risultati sono stati altrettanto incoraggianti: in Gran Bretagna, ad esempio, l’adozione di questa pratica di profilassi ha avuto risultati controversi.
Ma c’è di più: le nuove infezioni sono in aumento in almeno 50 paesi e il ritmo dei progressi per sconfiggere l’epidemia non sta al passo con gli obiettivi.
“Intere regioni sono in ritardo, gli enormi progressi compiuti per i bambini non sono durevoli, le donne sono ancora colpite in modo sproporzionato, le risorse non corrispondono agli impegni presi e popolazioni chiave continuano ad essere ignorate”, ha affermato il direttore esecutivo dell’Unaids, Michel Sidibé.
Nel 2014 le Nazioni Unite si sono impegnate a porre fine all’epidemia di AIDS entro il 2030. Ma l’obiettivo è ancora lontano e una barriera contro una più ampia educazione sanitaria è dovuta ancora alle discriminazioni contro le minoranze sessuali, che determinano, per esempio, che le donne transgender siano ancora 13 volte più a rischio di contrarre l’HIV rispetto agli adulti compresi tra 15 e 49 anni.
C’è una “pericolosa rilassatezza” nella lotta all’Aids: lo scrivono anche una serie di articoli pubblicati da Lancet a firma dell’International Aids Society.
A minare gli sforzi, scrivono gli esperti fra cui l’italiano Stefano Vella, è soprattutto lo stallo nella raccolta dei fondi per combattere l’Aids che da diversi anni sono bloccati a 19-20 miliardi di dollari l’anno e che andrebbero aumentati almeno del 20% per raggiungere gli obiettivi. Questo sta portando ad un rallentamento degli sforzi nella prevenzione, come si vede dai quasi 2 milioni di nuove infezioni l’anno, una cifra che è sostanzialmente stabile.
Secondo il rapporto, infine, nel mondo 36,9 milioni di persone vivono con il virus Hiv e di queste solo 21,7 milioni hanno accesso alle cure.
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