Aids, in Italia una persona su tre non sa di essere contagiata

VEB

Nonostante negli anni il problema dell’Hiv sia stato ampiamente trattato, e le campagne di sensibilizzazione non si siano certo sprecato, è altrettanto vero che sulla delicata tematica esiste ancora tanta ignoranza e soprattutto tanta diffidenza, soprattutto nel sottoporsi ai necessari esami per diagnosticarla il prima possibile.

Si stima che solo in Italia le persone con Hiv siano circa 130-150mila, ma solo 94mila sono attualmente in terapia. Gli altri, ossia uno su tre, non sanno ancora di essere malati, per colpa dell’assenza di screening adeguati, di diagnosi precoce, di un calo di attenzione dei malati ma anche dei medici. A lanciare l’allarme è Carlo Federico Perno, ordinario di virologia all’Università di Roma Tor Vergata, durante il congresso europeo sull’Aids in corso a Barcellona.

” Il problema è che ancora oggi la diagnosi arriva in media dopo 5-7 anni: questo vuol dire che adesso scopriamo infezioni che risalgono in molti casi al 2008. Invece è fondamentale trattare i pazienti il prima possibile”. A causare i gravi ritardi è proprio la mancata percezione del pericolo e la convinzione che si tratti di una malattia praticamente debellata: “Non si fa neanche prevenzione, perché ormai l’idea è che l’Hiv da malattia mortale sia diventata malattia cronica. Ma anche le malattie croniche uccidono”, sottolinea il professore, lamentando una “drammatica perdita di attenzione nei confronti dell’Aids”.

“L’età media alla diagnosi in Italia è di 35-36 anni, e si tratta di persone che resteranno in cura per tutta la vita”, ha aggiunto. “L’Hiv e i medicinali per combattere il virus – continua Perno – a distanza di tempo aumentano poi i rischi di problemi alle ossa, al fegato, al cuore, al cervello, ma anche di ammalarsi di tumore e di diabete”. Ecco perché, conclude, “dalla ricerca ci aspettiamo terapie sempre meno tossiche, che ora stanno arrivando. Ma non mi stancherò mai di ricordare quanto è importante la prevenzione”.

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