La coscienza è uno dei più grandi enigmi della scienza moderna. Cosa ci rende consapevoli di noi stessi e del mondo che ci circonda? A questa domanda ha cercato di rispondere un importante studio neuroscientifico durato sette anni, recentemente pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature. Lo studio, che ha coinvolto 256 partecipanti, si inserisce in uno sforzo internazionale per comprendere come e dove nasce la coscienza nel cervello umano.

Coscienza: il confronto tra due teorie rivali
Il progetto si è focalizzato su due delle teorie più influenti della neurocoscienza:
- Teoria dell’informazione integrata (IIT): sviluppata dal neuroscienziato Giulio Tononi, suggerisce che la coscienza emerga quando le informazioni nel cervello sono integrate in un sistema unico e interconnesso. Un po’ come un’orchestra in cui ogni strumento suona una parte fondamentale di un’unica sinfonia.
- Teoria dello spazio di lavoro neurale globale (GNWT): proposta da Stanislas Dehaene e altri, descrive la coscienza come un “palcoscenico” dove alcune informazioni vengono evidenziate e trasmesse in tutto il cervello, rendendole disponibili alla memoria, al linguaggio e al pensiero consapevole.
I risultati dello studio: il ruolo della percezione
Utilizzando tecnologie avanzate come risonanza magnetica funzionale (fMRI), magnetoencefalografia (MEG) e elettroencefalogrammi (EEG), i ricercatori hanno scoperto connessioni cruciali tra le aree visive posteriori del cervello e i lobi frontali, suggerendo che la coscienza potrebbe originarsi più dalla percezione visiva che dal pensiero razionale.
Secondo il dott. Christof Koch, ricercatore senior presso l’Allen Institute for Brain Science, questa scoperta rappresenta un passo importante nella ricerca della cosiddetta “firma neurale” della coscienza. Koch definisce la coscienza come “il problema più profondo e appassionante della scienza contemporanea”.
Implicazioni cliniche: coma e coscienza nascosta
Uno degli aspetti più rilevanti dello studio riguarda le implicazioni mediche, in particolare per i pazienti in coma o stato vegetativo. Secondo quanto riportato dal Journal of Neurology, circa il 25% dei pazienti non responsivi potrebbe avere una forma di coscienza non rilevabile con esami clinici tradizionali. Identificare le aree cerebrali responsabili della coscienza potrebbe rivoluzionare la diagnosi e la gestione di questi pazienti.
Mente e intelligenza artificiale: possiamo “caricare” la coscienza in un computer?
Lo studio apre anche interrogativi su uno dei temi più discussi in ambito tecnologico: è possibile replicare la coscienza umana in un’intelligenza artificiale? Sebbene l’IIT suggerisca che la coscienza dipenda dalla struttura dell’informazione, i risultati non offrono prove conclusive. Anche la GNWT, che si basa sulla trasmissione di informazioni nei lobi frontali, ha incontrato difficoltà a identificare pattern riproducibili.
Il neuroscienziato Anil Seth, dell’Università del Sussex, ha affermato che “nessuno studio da solo può confermare o smentire una teoria della coscienza”, ma sottolinea il valore del confronto tra approcci differenti per chiarire come il cervello costruisce l’esperienza soggettiva.
Conclusioni: una strada ancora lunga, ma promettente
La ricerca neuroscientifica sulla coscienza è ancora in una fase esplorativa, ma questo studio segna un traguardo importante: per la prima volta, teorie concorrenti sono state testate in modo sistematico, con dati raccolti da centinaia di soggetti attraverso tecniche di imaging cerebrale avanzato.
Fonti come Nature, Scientific American e il National Institutes of Health (NIH) concordano nel considerare questo filone di ricerca strategico non solo per la filosofia della mente, ma anche per le applicazioni cliniche, etiche e tecnologiche del futuro.
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