Intelligenza, chi indossa gli occhiali ha un Q.I. più alto

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L’intelligenza è considerata la capacità di un persona (o più genericamente di un “agente”) di affrontare e risolvere con successo situazioni e problemi nuovi o sconosciuti; nel caso dell’uomo e degli animali l’intelligenza pare inoltre identificabile anche come il complesso di tutte quelle facoltà di tipo cognitivo o emotivo che concorrono o concorrerebbero a tale capacità.

Sebbene abbia sviluppato dei modelli per la valutazione dell’intelligenza, la comunità scientifica ancora non concorda universalmente su una definizione unica di cosa essa sia.

È difficile stabilire quindi quali siano quei fattori che determinano una maggiore intelligenza, ma diversi studi definiscono alcuni fattori chiave.

Uno studio israeliano del 2010, ad esempio, ha paragonato il QI e lo stato di fumo di 20.000 giovani. Come riportato dal Daily Mail, i risultati parlano chiaro: la media tra i fumatori tra 18 e 21 anni era un QI di 94, mentre quello dei non fumatori 101. Coloro che fumavano più di un pacchetto di sigarette al giorno avevano un QI medio di 90. In contesti di fratellanza, i fratelli non-fumatori risultavano essere più intelligenti.

Ai fini di uno Studio Francese del 2006, alcuni scienziati sottoposero 2.200 adulti a test d’intelligenza su un periodo di riferimento di cinque anni.

Ciò ha suggerito che più grande è il girovita, più bassa sarà l’abilità cognitiva. Come riporta il The Telegraph: “I ricercatori hanno scoperto che le persone con un indice di Massa Corporeo – un metodo di misura dei grassi corporei – di 20 o inferiore potrebbero ricordarsi il 56% di parole in un test lessicale, mentre coloro che sono obesi, con un IMC di 30 o maggiore, potrebbero ricordarne solo il 44%. I soggetti più grassi hanno mostrato anche un tasso più alto di declino cognitivo quando furono ri-esaminati cinque anni dopo: la loro memoria era scesa al 37.5% mentre chi non era in sovrappeso manteneva il proprio livello mnemonico.”

In due studi su bambini allattati dal seno che hanno coinvolto più di 30,000 bambini in Inghilterra e Nuova Zelanda, l’allattamento dal seno è risultato essere un fattore d’accrescimento intellettivo medio di sette punti QI nel caso in cui i bambini mostrassero una versione particolare del gene FADS2, secondo quanto ha riportato la Duke University in una conferenza stampa.

Mentre in passato l’essere mancino veniva associato alla criminalità, diversi studi recenti lo associano al “pensiero divergente,” una forma di creatività che genera idee nuove provenienti da un suggerimento.

Ricerche come queste ne potremmo citare a oltranza, ma i risultati di uno studio appena concluso sono veramente particolari: a quanto pare anche indossare gli occhiali è sintomo di una spiccata intelligenza.

Non è uno scherzo: uno studio molto serio ed esteso conferma il luogo comune che chi indossa gli occhiali sembra, ma soprattutto è, più intelligente. È il risultato di una ricerca condotta alla University of Edinburgh e pubblicato su una rivista scientifica prestigiosa come Nature Communications.

Lo studio ha analizzato i dati cognitivi e genetici di un ampissimo campione di persone (più di 300 mila) tra i 16 e i 102 anni, raccolti dall’UK Biobank.

Il team dello statistico genetico Gail Davies ha raccolto informazioni genetiche sulle persone coinvolte, analizzando database genomici in cui i partecipanti hanno presentato campioni di sangue o tessuti per l’analisi del DNA. Le persone hanno poi risposto a questionari e si sono sottoposti a test pensati per misurare le loro capacità cognitive. Una volta partito il lavoro di analisi dei dati, gli scienziati hanno individuato 148 regioni del genoma associate alle funzioni cognitive generali, tra cui 58 siti genomici che non erano stati precedentemente collegati con l’intelligenza.

Si è così potuto notare che chi mostrava una intelligenza maggiore aveva anche, rispetto agli altri, il 28% in più di probabilità di aver bisogno di occhiali o lenti a contatto e il 32% in più di probabilità di essere miope.

Come riportato dal Guardian, lo studio ha dimostrato «una significativa sovrapposizione genetica tra le funzioni cognitive, i tempi di reazione e molte altre variabili di salute come la vista, l’ipertensione e la longevità».

Una maggiore intelligenza è collegata anche ad altri stati di salute, oltre che alla vista: i ricercatori hanno riscontrato una correlazione negativa tra le funzioni cognitive e alcune malattie, inclusi l’angina, il cancro ai polmoni e la depressione. Si tratta, però, di semplici correlazioni e non di collegamenti diretti tra genio e salute.

“I risultati forniscono una base per esplorare i meccanismi attraverso i quali queste differenze influenzano le capacità di pensiero per tutta la vita”, spiega Davies. Ora i dati emersi serviranno agli scienziati per comprendere meglio i meccanismi dell’intelligenza.

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