Mostro di Loch Ness, sapremo se esiste grazie all’analisi del Dna

VEB

Da milioni di anni, il territorio della Scozia è geologicamente diviso in due parti che hanno trascinato con sé il nord del paese da una parte e il sud dall’altra. Il punto di contatto tra le due parti, la faglia, è denominata Great Glen e si caratterizza per la profondità e la strettezza dell’ambiente naturale che è sede di una serie abbastanza contigua di loch: il Linnhe, l’Oich, il Lochy e il molto più famoso a livello mondiale Ness.

Il mostro di Loch Ness, soprannominato anche Nessie, è una creatura leggendaria che vivrebbe proprio nel Loch Ness.

Non esiste alcuna prova dell’esistenza del cosiddetto “mostro” e alcune foto che lo ritrarrebbero sono state dimostrate false o non sono ritenute particolarmente significative dal punto di vista scientifico.

Già in tempi storici antichi, nel 565 dopo Cristo, proprio nel Ness veniva ambientata una storia dell’agiografia del santo irlandese Colombano, famoso nei paesi celtici per essere un distruttore di mostri e draghi. Il sant’uomo avrebbe infatti prima richiamato e poi sconfitto una creatura lacustre dalle fattezze mostruose proprio in quel loch.

I successivi tredici secoli sono pieni di racconti, leggende e buona narrativa orale su avvistamenti di vario genere collegati a creature altrettanto fantastiche, rientranti in pieno nella normale evoluzione della cultura rurale di una zona particolare quale è quella che circonda la Great Glen.

Più recentemente, il 22 settembre 1933 l’Inverness Courier riferì che nel Loch Ness era stato avvistato uno strano animale: i coniugi MacKay, proprietari di un albergo a Drumnadrochit, una località sulla riva del lago, avevano scorto due strane gobbe emergere dall’acqua. Il “mostro” era stato osservato dalla nuova strada appena costruita sulla riva settentrionale.

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Nel novembre 1933 venne scattata la prima fotografia da Hugh Gray; essa mostra un lungo “oggetto” sinuoso che nuota in superficie facendo ribollire l’acqua all’intorno. Secondo alcuni si trattava in realtà del labrador retriever dello stesso Gray che nuotava verso la fotocamera con un bastone in bocca; il ricercatore Roland Watson non ha però approvato questa interpretazione, sostenendo che sul lato destro della foto è visibile una forma simile alla testa di un’anguilla.

Una delle testimonianze più influenti riguardo al mostro è “La foto del chirurgo”, scattata da Robert Kenneth Wilson nei pressi di Invermoriston con l’ausilio dell’amico Maurice Chambers il 19 aprile 1934. La foto finì in prima pagina dello Scottish Daily Record con il titolo “Misterioso oggetto nel Loch Ness”. Nel 1994, sessant’anni più tardi, la foto fu smascherata dal Centro di Loch Ness come un falso: non era infatti un’autentica foto di Nessie, ma di un modellino creato aggiungendo a un sottomarino giocattolo una testa e una coda.

Le foto più nitide risalgono al 21 maggio del 1977 e furono scattate da Tony Doc Shiels, uno scrittore, artista, e illusionista inglese. Lo stesso stava osservando il lago da sotto il castello di Urquhart, e proprio allora vide affiorare il lungo collo. Gli ultimi avvistamenti o testimonianze di un certo rilievo e riportate dai mass media risalgono agli anni ottanta del Novecento. Gli ultimi avvistamenti sono piuttosto recenti: un avvistamento del celebre mostro è avvenuto il 26 maggio 2007 ad opera di Gordon Holmes, un tecnico di laboratorio che ha filmato una sagoma nuotare nel lago, mentre l’ultimo risale a fine agosto 2009, ad opera di Jason Cooke, guardia di sicurezza che, per fotografare il presunto mostro, ha utilizzato Google Earth.

Solo leggenda quindi o c’è qualcosa di reale?

Finalmente, dopo secoli, ce lo dirà definitivamente la scienza: i ricercatori dell’università neozelandese di Otago, guidati da Neil Gemmell, raccoglieranno l’acqua del bacino scozzese a tre profondità diverse e le analizzeranno impiegando il metodo del Dna ambientale, che consiste nell’analisi delle tracce lasciate in acqua da qualunque organismo viva nel lago.

La partenza della spedizione è prevista nel giugno 2018 e la presentazione dei risultati è attesa per gennaio 2019. Il programma prevede l’analisi delle acque dei laghi Garry, Morar e Oich e il confronto dei dati con quelli relativi alle acque di Loch Ness.

I ricercatori si serviranno del Dna ambientale per identificare le minuscole tracce presenti nelle acque in cerca di eventuali analogie con la presenza di un enorme rettile marino ormai estinto, come quello teorizzato dalla cosiddetta ipotesi Giurassica.

La certezza è che questa ricerca potrebbe essere la svolta decisiva per il mistero che insegue il lago scozzese da anni, o almeno la conferma. Nel caso in cui non si ritrovi nulla, probabilmente la leggenda continuerà a esistere.

Tanto che Gemmell ha dichiarato: “nella nostra vita vogliamo che ci siano ancora dei misteri, alcuni dei quali alla fine verranno risolti. Fa parte dello spirito di scoperta. E a volte, quello che trovi potrebbe non essere quello che ti aspettavi”.

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