Tumore alla prostata diagnosticato con test del sangue

VEB

Gli uomini di età compresa tra 55 e 69 anni sono quelli in particolare ad alto rischio di cancro alla prostata, parlare con il proprio medico ed eseguire dei controlli con screening alla prostata, sono delle ottime linee guida per la prevenzione, ultimamente sulla rivista JAMA sono state pubblicate le recenti linee guide a tal proposito, provengono dalla task force statunitense Preventive Services , un gruppo indipendente di esperti che fornisce raccomandazioni al pubblico (in questo caso americano) sui servizi di prevenzione. Si tratta di un aggiornamento delle linee guida precedenti pubblicate nel 2012.

Il tumore alla prostata è una formazione di tessuto costituito da cellule che crescono in modo incontrollato e anomalo all’interno della ghiandola prostatica ed è diventato il cancro più frequente nella popolazione maschile dei Paesi occidentali.

Il cancro della prostata fortunatamente di norma cresce molto lentamente e la maggior parte degli uomini colpiti, che hanno mediamente più di 65 anni, riusciranno a sopravvivere al tumore.

Le cause reali del carcinoma prostatico rimangono ancora sconosciute. È possibile però individuare alcuni potenziali fattori di rischio che aumentano la probabilità di ammalarsi, anche se non sono direttamente responsabili dell’insorgenza della patologia.

L’invecchiamento è il più importante fattore di rischio: uomini con 50 anni o più sono associati a un rischio maggiore. La famigliarità può avere un certo peso; se i famigliari più stretti (padre e fratello) hanno un tumore alla prostata il rischio per il soggetto è 2-3 volte superiore alla media.

Anche la dieta può anche essere un fattore rilevante: gli uomini che mangiano grandi quantità di grassi animali, in particolare provenienti da carne rossa, sono associati a un rischio maggiore.

Sono inoltre in costante aumento gli studi che stabiliscono una correlazione tra la malattia e l’infiammazione, cronica o ricorrente, della prostata. La causa scatenante di questa reazione infiammatoria, da cui potrebbe derivare il danno che favorisce lo sviluppo di cellule tumorali, non è ancora chiara: si pensa però che virus, batteri e sostanze tossiche introdotte dall’esterno possano svolgere un ruolo determinante.

L’incidenza del carcinoma ha mostrato negli ultimi anni una costante tendenza all’aumento, in particolar modo intorno al 2000, con la maggiore diffusione del test del PSA.

Sul suo reale valore ai fini della diagnosi di un tumore, però, il dibattito è ancora aperto in quanto molto spesso i valori sono alterati per la presenza di una iperplasia benigna o di una infezione. Per questa ragione negli ultimi anni si è osservata una riduzione dell’uso di tale test. In particolare, la misurazione sierica del PSA va valutata attentamente in base all’età del paziente, la familiarità, l’esposizione a eventuali fattori di rischio e la storia clinica.

La diagnosi precoce però è sempre lo strumento più efficace e per fortuna molto presto sarà ancora più semplice e meno invasivo diagnosticare questa patologia: un nuovo test del sangue si è infatti dimostrato più accurato del tradizionale test del PSA per misurare il rischio di cancro alla prostata.

La nuova procedura potrebbe ridurre di oltre il 40% le biopsie perché riesce, da solo senza necessità di altri esami invasivi, a distinguere tra forme maligne e benigne del tumore.

Il nuovo test – chiamato IsoPSA – è stato sviluppato presso la clinica di Cleveland in collaborazione con la Cleveland Diagnostics Inc e identifica cambiamenti della struttura molecolare dell’antigene prostatico (il PSA appunto) e quindi non si limita semplicemente a misurare la concentrazione del PSA nel sangue come fa il test oggi in uso.

IsoPSA va a vedere la concentrazione delle diverse ‘forme’ (isoforme in termini tecnici) della molecola PSA e in questo modo può con attendibilità discriminare cambiamenti strutturali della proteina associati alla presenza o assenza di cancro (il problema del test tradizionale è proprio che non sempre a valori alterati di PSA corrisponde un cancro). Inoltre distingue i tumori benigni da quelli maligni di grado elevato.

Utilizzandolo si potrebbero ridurre i casi di eccesso diagnostico e terapeutico per tumori erroneamente diagnosticati e trattanti in quanto benigni.

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