La nuova patologia si chiama Selfite

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Inizialmente è stato battezzato semplicemente autoscatto, almeno nella nostra lingua, poi pian piano è diventato il “selfie”, ovvero il nome con il quale viene chiamato in tutto il mondo nel linguaggio internazionale, non c’è altro da dire se non quello di uno scatto a mò di ritratto fatto con uno smartphone, una webcam, un tablet o una macchina fotografica digitale, in passato era uno scatto a tempo, oggi invece è possibile effettuarlo da soli anche con un semplice supporto.

La nascita del selfie è legato al diffondersi, nei primi anni duemila, della fotografia digitale e dei social network.

La parola è nata da pochi anni, coniata nel 2005 – secondo ciò che ritengono in molti – dallo scrittore Jim Krause, ma ha iniziato ad essere in voga solo a partire dal 2010 con la nascita dell’iPhone4, il primo cellulare ad avere una fotocamera anteriore. Nel 2013 l’Oxford English Dictionary ha eletto “selfie” parola dell’anno.

Negli ultimi anni l’abitudine di scattare selfie è enormemente aumentata, anche sull’esempio di molti personaggi dello spettacolo: i selfie si sono progressivamente diffusi a livello di massa anche fuori dai tradizionali media sociali.

Secondo alcuni critici il ricorso massiccio ai selfie è un fenomeno tipicamente narcisistico, un atto di autoindulgenza correlato talvolta a una bassa autostima, con il quale si cerca un’autoaffermazione in un ambito della cui superficialità si è comunque coscienti, ma al di là degli aspetti più squisitamente psicologici, è indubbio che sta avendo un successo incredibile a livello mondiale.

Milioni di persone ogni giorno si ritraggono in ogni luogo, immortalano se stessi in ogni genere di situazione, arrivando a scattare centinaia di foto e a diventare ossessionati dal perdersi qualche istante che sarebbe potuto essere magari lo scatto perfetto da condividere sui social.

Selfite, una nuova patologia per gli ossessionati dagli auto-scatti

Selfite una nuova patologia per gli ossessionati dagli auto-scatti

Oggi sappiamo che il bisogno ossessivo di postare selfie, definito ‘selfite’ secondo un termine coniato nel 2014, è un vero e proprio disturbo mentale: parola di alcuni psicologi della Nottingham Trent University e della Thiagarajar School of Management in India, che in uno studio pubblicato sull’International Journal of Mental Health and Addiction, hanno esaminato il fenomeno scoprendo che non solo esiste ma ci sono tre categorie, quella cronica, quella acuta e quella borderline.

Il primo grado della ‘selfite’ viene definito ‘Selfitis Borderline’: è il livello più blando del disturbo. Il soggetto solitamente si scatta al massimo 3 selfie al giorno, senza postarli sui social.

Selfitis acuta è invece il secondo stadio della ‘selfite’: il paziente si scatta almeno 3 selfie al giorno e li pubblica online. Il terzo stadio, quello più grave, è quello della selfitis cronica: la persona passa gran parte della giornata a farsi autoscatti, postandoli sui social almeno 6 volte al giorno. La smania è incontenibile.

È stata realizzata anche una vera e propria ‘scala della selfite’, che in 20 affermazioni alle quali rispondere attraverso l’attribuzione di un punteggio fino al massimo di 5 aiuta a scovare la categoria di questo disturbo nella quale si rientra.

Non tutti gli studiosi sono però d’accordo sul fatto che la ‘selfite’ esista, anzi per alcuni è il solo ‘darle un nome’ che la rende reale.

Certamente, se la selfite è veramente un disturbo, allora oltre la metà della popolazione mondiale è malata.

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