La novità è stata annunciata solo da poche ore ma già ha generato il malcontento tra la sua utenza e ha scatenato non poche polemiche sui limiti sempre più labili che il concetto di privacy oggigiorno assume.
Spotify, il popolare servizio per ascoltare la musica in streaming, ha da poco aggiornato le sue regole per la privacy comunicando che raccoglierà molte più informazioni sui propri utenti attraverso la sua applicazione per smartphone: la nuova politica permette all’app di “raccogliere informazioni memorizzate sul dispositivo mobile, come contatti, foto o file multimediali. A seconda del dispositivo possiamo anche raccogliere dati sulla posizione con il GPS o altre forme di localizzazione disponibili”.
Naturalmente tutto solo ed esclusivamente con il consenso dell’utente al quale vengono date però due sole possibilità: o accettare le nuove condizioni oppure rinunciare ad utilizzare il servizio.
Le reazioni non si sono fatte attendere: a che servono le nostre foto e video a un servizio che fornisce musica in streaming? Davvero, come implica la posizione del CEO Daniel Ek in uno scambio su Twitter, è indispensabile un simile livello di intrusione per una funzione banale come cambiare l’immagine delle playlist e del profilo?