Interruttore che accende obesità, arrivano nuovi studi

VEB

I ricercatori hanno scoperto che i pazienti con obesità metabolica sana, ma nessun altro fattore di rischio metabolico, non hanno un tasso di mortalità più elevato. I risultati di questo studio potrebbero avere un impatto sulle conoscenze legate al binomio “obesità-salute”, tali risultati potrebbero di fatto avere un impatto sul concetto di obesità, riferisce Jennifer Kuk, professore associato presso la Scuola di Kinesiologia e Scienze della Salute, che ha guidato il gruppo di ricerca presso l’Università di York.

Questo è in contrasto con la maggior parte della letteratura e pensiamo che questo sia perché la maggior parte degli studi ha definito l’obesità metabolica sana avendo fino a un fattore di rischio metabolico“, dice Kuk. “Questo è chiaramente un fattore problematico, poiché l’ipertensione da sola aumenta il rischio di mortalità e la letteratura passata avrebbe definito questi pazienti affetti da obesità e ipertensione come sani “. Questo è probabilmente il motivo per cui la maggior parte degli studi ha riferito che l’obesità “sana“è ancora correlata a un più alto rischio di mortalità .

Se un vecchio detto dice che grasso è bello, nella realtà l’obesità è una malattia terribile, e in quanto tale va curata e possibilmente prevenuta.

Questo lo sa bene l’ OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che da anni è in prima linea per denunciare i numeri in continua crescita, cercando soluzioni per cercare di limitare il fenomeno.

L’obesità colpisce 2.200 milioni di persone nel mondo. Sono oltre 2 miliardi le persone nel mondo che soffrono di problemi di salute perché obese o in sovrappeso. Adulti e bambini. Ed è in aumento la percentuale di coloro che muoiono a causa di malattie correlate: 4 milioni di persone ogni anno.

La prevalenza di obesi è raddoppiata dal 1980 in oltre 70 Paesi e ha continuato ad aumentare nella maggior parte delle altre nazioni. Inoltre , anche se la prevalenza dell’obesità nei bambini è inferiore a quella degli adulti, il tasso di crescita dell’obesità infantile in molti Paesi è maggiore di quello degli adulti.

Per i ricercatori è “una crisi di sanità pubblica crescente e inquietante”.

Se cambiare la propria alimentazione e lo stile di vita è la soluzione migliore e il miglior modo per prevenire tutti i problemi legati ai kg di troppo, negli ultimi anni si sono comunque moltiplicati gli studi per capire, all’interno del nostro corpo, quali siano le molecole e le sostanze che intervengono nell’accumulo del grasso.

Un nuovo studio, ad esempio, ha mostrato come esista dentro al nostro corpo una specie di interruttore che brucia i grassi e viene attivato dal freddo.

Strano a dirsi, ma a sostenerlo è uno studio condotto dall’istituto per la ricerca sul cancro Dana-Farber di Boston e pubblicato sulla rivista Nature.

La molecola chiamata succinato apre quindi un nuovo capitolo nella lotta all’obesità.

Il contributo centrale del lavoro è la scoperta delle qualità del succinato, una sostanza prodotta dal nostro metabolismo che si risveglia con il freddo e, una volta entrata in azione, aiuta a tenere sotto controllo il consumo di calorie e la temperatura corporea.

I ricercatori, diretti da Edward Chouchani, hanno individuato le qualità del succinato passando in rassegna tutte le sostanze prodotte dal metabolismo presenti nel tessuto adiposo bruno, quello che favorisce il consumo delle calorie (contrariamente a quanto fa il tessuto bianco, che invece le accumula).

In questo modo hanno scoperto che la sostanza bruciagrassi viene rilasciata nel flusso sanguigno dall’attività muscolare ed è poi immagazzinata dal tessuto adiposo bruno.

I risultati finora ottenuti sui topi sono incoraggianti: è bastato che gli animali bevessero dell’acqua ‘corretta’ con il succinato per non ingrassare, nemmeno quando erano sottoposti a una dieta ricca di grassi.

I ricercatori hanno anche ricostruito il percorso di questa sostanza, che viene rilasciata nel flusso sanguigno dall’attività muscolare e da qui catturata e immagazzinata nel tessuto adiposo bruno.

Ma naturalmente la sperimentazione andrà eseguita anche per quanto riguarda gli esseri umani, e si spera che i risultati possano essere altrettanto incoraggianti.

Ma il tessuto adiposo bruno è stato al centro anche di un’altra ricerca: lo studio, condotto in Spagna, nel Centro Nacional de Investigaciones Cardiovasculares Carlos III (Cnic), ha scoperto una seconda strada per attivare il suddetto tessuto, questa volta per mezzo di una proteina chiamata p38 alfa.

Il gruppo di Guadalupe Sabio l’ha individuata nel tessuto adiposo bruno di oltre 150 individui obesi e ha scoperto che la agisce tenendo a freno un’altra proteina, chiamata UCP1. Quest’ultima, anch’essa presente nel tessuto adiposo bruno, attiva le cellule bruciagrasso e sviluppa calore.

Anche in questo caso lo studio è stato condotto sui topi, ma tutte queste ricerche stanno andando nella giusta direzione, per arginare quella che ormai è una piaga che affligge tutta l’umanità.

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