Dipendenza da smartphone, una donna non se ne separa neppur nella Tac

VEB

Negli ultimi anni, ormai, l’uso dello smarthphone è divenuto costante nella nostra vita, una dipendenza considerando anche il fatto che con il cellulare, oggi, si può fare qualunque cosa: controllare la posta elettronica, prenotare un tavolo al ristorante, controllare WhatsApp o altre app di messaggistica veloce, pubblicare sui social le foto della tua ultima vacanza e, naturalmente, chiamare parenti ed amici.

L’ossessione per lo smartphone, la cosiddetta ‘nomofobia’, oggi colpisce molte persone in tutto il mondo compresi molti italiani, da sempre molto attaccati al telefono.

Certamente non ha le stesse conseguenze sul piano fisiologico  delle altre dipendenze – non provoca morte o gravi malattie come la tossicodipendenza o l’alcolismo – ma riguarda un numero molto più elevato di persone: è da considerare a rischio praticamente chiunque abbia accesso a un telefono cellulare.

Si può parlare di nomofobia quando una persona prova una paura sproporzionata di rimanere fuori dal contatto di rete mobile, al punto da sperimentare effetti fisici collaterali simili all’attacco di panico come mancanza di respiro, vertigini, tremori, sudorazione, battito cardiaco accelerato, dolore toracico, nausea.

Un recentissimo studio condotto proprio sugli italiani ha rivelato che l’83% degli intervistati è solito leggere le email di lavoro durante la notte, il 37% controlla le notifiche sul cellulare durante la notte e il 57% controlla il cellulare entro 22 minuti dal momento in cui apre gli occhi al mattino. Il problema della dipendenza da abuso tecnologico può essere considerata, dunque, una malattia a tutti gli effetti.

Anche la ministra Lorenzin ha confermato come il tema delle dipendenze dalle tecnologie, sia ormai esploso nella nostra realtà a tal punto da diventare, in certi casi, una malattia. La ministra, infatti, in occasione della giornata internazionale dedicata alla sconnessione dal web, ha lanciato un video messaggio sul valore della relazione umana, dello stare insieme agli altri per vincere la solitudine e per placare un fenomeno che sta assumendo risvolti patologici.

Secondo le stime dell’Università di Granada, la fascia di età più colpita sarebbe quella tra i 18 e i 25 anni, giovani con bassa autostima e problemi nelle relazioni sociali che sentono il bisogno di essere costantemente connessi e in contatto con gli altri attraverso il telefono cellulare.

Ma non sono solo i giovani: anche molte persone adulte e “responsabili” non possono fare a meno del proprio compagno elettronico neppure in momenti delicati come una visita medica.

La storia che vi raccontiamo oggi ha veramente dell’incredibile: una donna, impegnata in una Tac all’ospedale Cardarelli di Napoli, ha ben pensato di portare il cellulare durante l’esame diagnostico e come riferisce il Corriere del Mezzogiorno, prima che iniziasse l’esame, la paziente ha anche risposto a una chiamata.

Nello specifico, la donna ha contravvenuto al protocollo e alla richiesta dei medici e, di nascosto, senza farsi vedere, ha portato il telefonino con sé durante l’esame. Dal momento che la paziente si trovava già all’interno del macchinario preposto quando le è arrivata la telefonata, c’è un documento che attesta l’incredibile scena: il referto della Tac.

Com’è facile immaginare, l’accertamento è stato sospeso e la paziente (la cui salute non è mai stata in pericolo) è stata severamente redarguita .

Dopo il pericolo scampato, i medici hanno notato che nel Pacs (sistema informatico del Cardarelli) era rimasta traccia di questo folle comportamento e c’è da aspettarsi che presto l’immagine diventerà virale anche sui social.

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