Nel mondo dell’arte contemporanea, dove i confini tra concetto e materia si fanno sempre più labili, un’opera invisibile può raggiungere un valore sorprendente. È quanto accaduto nel 2021, quando l’artista italiano Salvatore Garau ha venduto la sua scultura immateriale Io Sono per 15.000 euro (oltre 18.000 dollari) a un acquirente anonimo durante un’asta curata dalla casa milanese Art-Rite.

Ma cosa rende speciale un’opera che non si può vedere, toccare o fotografare? Per Garau, l’assenza fisica non equivale al nulla: “Anche il vuoto ha una densità, è pieno di energia”, ha spiegato l’artista in un’intervista al quotidiano spagnolo Diario AS, citando il principio di indeterminazione di Heisenberg come fondamento teorico del suo lavoro.
L’arte che vive nell’immaginazione
La scultura, o meglio il concetto di essa, viene fornita con un certificato di autenticità e precise istruzioni di esposizione: deve essere collocata in uno spazio privato di 1,5 x 1,5 metri, completamente sgombro. In quell’area delimitata, secondo Garau, si attiva l’energia mentale dello spettatore, che “dà forma all’opera attraverso la propria immaginazione”.
Il paragone con il divino non è casuale. In un video diffuso durante una precedente installazione a Milano (Buddha in Contemplazione), l’artista affermava: “Non la vedi, ma esiste. È fatta di aria e spirito. Come Dio: non lo vediamo, ma crediamo nella sua esistenza”.
Precedenti storici e polemiche
Non è la prima volta che un artista mette in discussione i confini del visibile. Già nel 1958, il francese Yves Klein aveva realizzato le sue celebri Zone di sensibilità pittorica immateriale, vendute in cambio di lingotti d’oro, in un rituale che univa estetica e spiritualità. Tuttavia, Garau spinge il concetto oltre, trasformando lo spazio vuoto in opera d’arte certificata e monetizzabile.
Le critiche, però, non sono mancate. Su BBC, la notizia ha suscitato reazioni contrastanti: alcuni definiscono l’opera una provocazione geniale, altri la bollano come “truffa intellettuale”. Il commento più ricorrente sui social? “Ha solo delimitato uno spazio vuoto con il nastro adesivo e l’ha chiamato arte”.
Arte immateriale, valore reale
Al di là della polemica, il caso Garau riporta alla luce una riflessione cruciale: che valore diamo all’invisibile? In un mondo sempre più orientato verso il digitale, il simbolico e l’esperienziale, l’arte immateriale trova nuove strade di espressione — e anche di mercato. Secondo quanto riportato dal New York Times, l’arte concettuale e le opere digitali (inclusi gli NFT) stanno ridefinendo i criteri di collezionismo e valore artistico.
Che si tratti di una forma estrema di minimalismo filosofico o di una critica al mercato dell’arte stesso, Io Sono ha compiuto il suo intento: generare dibattito, visibilità e — ironicamente — un significativo ritorno economico.