Infezioni ospedaliere, in Italia dilagano

VEB

L’ospedale è il luogo deputato alla cura delle patologie, anche quelle più gravi: vengono effettuati migliaia di interventi e trattamenti di ogni sorta, e viene salvata la vita a milioni di persone ogni anno.

Tralasciando la situazione effettiva di molte strutture ospedaliere dislocate lungo tutto lo stivale che, purtroppo anche a causa dei continui tagli alle risorse e alla mala gestione annosa, sono a dir poco fatiscenti, è indubbio che, accanto ai già citati benefici, si ci espone anche al pericolo di venire contagiati da infezioni.

Le cosiddette “infezioni ospedaliere” sono la complicanza più frequente e grave dell’assistenza sanitaria. Si definiscono così infatti le infezioni insorte durante il ricovero in ospedale, o dopo le dimissioni del paziente, che al momento dell’ingresso non erano manifeste clinicamente, né erano in incubazione.

Le infezioni ospedaliere sono causate da patogeni facilmente trasmissibili dall’operatore sanitario al  paziente . Spesso i pazienti ospedalizzati hanno una ridotta efficienza del sistema immunitario, pertanto risultano più suscettibili ad infezioni. Spesso, inoltre, la lunga degenza per  malattie croniche debilitanti, la denutrizione del paziente espongono ad un maggior rischio di infezione.

Per quanto riguarda i microrganismi coinvolti, variano nel tempo. Fino all’inizio degli anni Ottanta, le infezioni ospedaliere erano dovute principalmente a batteri gram-negativi (per esempio, E. coli e Klebsiella pneumoniae). Poi, per effetto della pressione antibiotica e del maggiore utilizzo di presidi sanitari di materiale plastico, sono aumentate le infezioni sostenute da gram-positivi (soprattutto Enterococchi e Stafilococcus epidermidis) e quelle da miceti (soprattutto Candida), mentre sono diminuite quelle sostenute da gram-negativi.

L’infezione nosocomiale più frequente è quella del tratto urinario, seguono le infezioni della ferita chirurgica, l’infezione dell’accesso venoso ( punto in cui si inserisce l’ago per somministrare terapie endovena), la polmonite.

Infezioni ospedaliere in Italia dilagano

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In Italia, negli ultimi mesi, però la situazione è diventata particolarmente drammatica: tra il 5 e l’ 8 per cento degli assistiti negli ospedali italiani è vittima di un’infezione ospedaliera.

Lo dicono i dati del rapporto del Ministero della salute sulle schede di dimissioni ospedaliere pubblicato dal quotidiano La Stampa, che mostra ora un vero boom delle infezioni contratte in corsia o negli ambulatori dei nostri nosocomi, che negli ultimi dieci anni sono aumentate del 61,2 per cento per gli interventi chirurgici e del 79,6 per cento per quelli medici, soprattutto controlli endoscopici, come gastroscopie e colonscopie.

Secondo le statistiche, sono da 450 mila a 700 mila le infezioni ospedaliere l’anno, un fenomeno che potrebbe essere evitato e che grava sui costi della sanità pubblica.

Per farsi meglio un’idea, 2.000 pazienti ogni anno muoiono per infezioni evitabilissime. Secondo una ricerca condotta nel maggio scorso dal Ceis dell’ Università Tor Vergata di Roma per ogni infezione ospedaliera si stima vadano in fumo tra i 9000 e i 10.500 euro. Moltiplicando per il mezzo milione e passa di casi, lo spreco di risorse pubbliche è quantificabile in almeno 5 miliardi di euro.

Il record di infezioni dopo un intervento chirurgico lo detiene la Valle d’Aosta, con 500 casi ogni 100.000 dimessi. Seguono la Liguria, con 454, e l’ Emilia Romagna, con 416. La Lombardia ne conta 300, e la provincia di Trento 295. Quindi ci sono il Veneto (273 casi) e l’ Umbria (267).

Qualcosa però può essere fatta per limitare questo fenomeno.

Per prevenire le infezioni ospedaliere, è fondamentale la scelta dei dispositivi medici utilizzati. Parola di Francesco Venneri, direttore Sos Rischio clinico e sicurezza del paziente Azienda Usl Toscana Centro, che ha condotto uno studio di farmaco economia presentato a Pisa al convegno ‘Campagna 3 a 0 contro le infezioni’.

Per l’esperto sarebbe utile già solo l’impiego di un ‘cerotto’ a protezione dell’accesso del catetere: si tratta di una medicazione antimicrobica trasparente, che è in grado di ridurre l’incidenza delle infezioni primarie del sangue. Se il cerotto venisse utilizzato su tutti i pazienti in terapia intensiva trattati negli ospedali italiani – è la conclusione – sarebbe possibile prevenire circa il 60% delle infezioni ed evitare circa 1.700 giorni di ricovero l’anno, con un potenziale risparmio per il Ssn pari a circa 15 mln di euro.

 

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